venerdì 18 settembre 2009
Siamo tutti farabutti
Sono convinto che dobbiamo essere riconoscenti al ministro Brunetta, perché finalmente qualcuno dell’attuale classe dirigente ci ha detto cosa pensa di noi e ci ha dimostrato quello che dentro di noi abbiamo sempre saputo, cioè che in questi anni si è fatto un uso “punitivo” del Fus, per tenere a bada una categoria di persone che ancora non si sono volute adeguare e che quindi risultano estranee, prima ancora che a un indirizzo politico, a un modo di essere e di pensare.
E’ isolato, Brunetta, in questo atteggiamento? Apparentemente sì, perché ministro e sottosegretario ai Beni Culturali hanno preso le distanze; nella sostanza io penso di no, perché attorno alla miserabile questione del Fus si è giocata in questi mesi una partita sotterranea piuttosto dura e non è detto che alla fine prevalga la linea di quelli che vogliono conservare un rapporto decente tra la società dello spettacolo e l’attuale governo. Quando il sottosegretario Giro dice, in una conferenza stampa a Venezia, che il Governo spende e quindi vuol contare di più (l’ho sentito con le mie orecchie), non esprime forse in toni più pacati lo stesso tipo di pressione che Brunetta esprime in toni più villani? E la lettera di Bondi al Corriere non trasuda, forse involontariamente, lo stesso disprezzo e lo stesso disagio di Brunetta? E gli attacchi quotidiani del Presidente del Consiglio non tendono a farci sentire tutti ugualmente “farabutti”?
Il ministro Brunetta, passata la sfuriata provocatoria, passa poi a precisare che in realtà lui pensa che sia bene liberare la cultura dello spettacolo, da sempre asservita alla sinistra, dalle ingerenze della politica. Se ci fosse un solo segno in questa direzione, staremmo tutti ad applaudirlo; ma forse Brunetta dimentica che se ci sono sprechi, nel mondo dello spettacolo, sono quasi tutti ascrivibili all’impadronimento quotidiano che la politica, di destra e di sinistra, fa del nostro settore per crearsi un’area di consenso. Gli sprechi ci sono negli enti lirici, è vero, ma non sarà che il personale di quegli enti è ipertrofico e sovra pagato perché negli anni si è creato un sistema di clientele che nulla aveva a che fare con la buona gestione aziendale? E’ solo colpa degli artisti e dei sovrintendenti o magari c’entrano anche i sindacati di destra e di sinistra, i partiti politici di destra e di sinistra, i sindaci, i presidenti di regione e compagnia cantando? E’ un caso che nel teatro di prosa, il più virtuoso forse dei settori dello spettacolo, man mano che ci si avvicina alla gestione pubblica e condizionata dalle scelte politiche la virtù evapora? E infine nel cinema, che viene additato come il sistema più scandaloso perché in realtà è percepito come il più pericoloso, cosa ha fatto questa classe dirigente, nei cinque anni di governo ininterrotto, per rimediare alle evidenti storture che ora vengono denunciate?
Gli sprechi ci sono, ma non è un buon motivo per mortificare un intero settore dell’industria culturale; sarebbe come dire che, siccome la politica molto spreca, la sua presenza e la sua funzione andrebbero annullate nel nostro paese. Gli sprechi ci sono, ma ci sarebbero anche, in attesa di leggi che la politica non riesce a definire, norme e automatismi che permettono comportamenti un pochino più virtuosi; guarda caso, queste norme e questi automatismi sono rimasti sempre parzialmente applicati, perché si è voluto favorire il rapporto diretto tra la gestione politica e la conduzione artistica e aziendale delle imprese dello spettacolo. Come mai i giornali fanno scandalo, giustamente, di film che hanno incamerato molto dalla mano pubblica e incassato poco al botteghino, e nessuno ha citato, scelgo tra mille casi, la delibera varata dal Consiglio Comunale di Roma il 12 di agosto, in cui si stanziavano due milioni e mezzo di euro per attività folcloristiche e culturali non meglio precisate, erogate a 72 associazioni che hanno fatto tutte domanda nello stesso giorno, il 16 di marzo?
Mi rendo conto che rinfacciandosi i singoli, anche se clamorosi, episodi non si va lontano, ma un punto da cui ripartire bisogna pur trovarlo: ed è il riconoscimento che il sistema culturale di un paese moderno è una questione complessa e delicata, che ha bisogno dell’apporto economico della comunità e dell’ingegno, dei capitali e del lavoro dei singoli; che lo snodo tra esigenze della collettività e attività dei singoli artisti è ancor più delicato, perché prevede dei punti di raccordo e dei momenti di estrema autonomia. In altre parole, la difficoltà è definire quanto sia necessario e coinvolgente il rapporto tra l’arte, la cultura in generale e la sua collettività di riferimento, anche politica, e quanto l’artista debba essere poi autonomo da condizionamenti e libero di inventare e criticare a beneficio di tutta la collettività. Su queste basi si può anche andare a braccetto con Brunetta.
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